I BIAS COGNITIVI - OGI

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I BIAS COGNITIVI E IL COVID-19
Tra pregiudizio e reale conoscenza

Quanto la mente umana riconosce realmente ciò che ha desiderio o necessità di scegliere e quanto invece,
i propri pensieri, sono il frutto di un “errore” definito Bias cognitivo

Cosa sono i Bias cognitivi

Si può eseguire una scelta totalmente priva di pregiudizi? E’ possibile evitare il condizionamento? E’ possibile superare  l’emozione del momento nell’effettuare una scelta? Secondo studi effettuati circa cinquanta anni fa, ma ancora oggi attualissimi e non superati da recenti scoperte,  pare proprio di no!

In buona sostanza sembrerebbe proprio che il nostro cervello, sottoposto a delle scelte o tenuto ad effettuare delle considerazioni, operi delle volte in una maniera del tutto errata utilizzando delle strategie di selezione che si mostrerà in seguito essere totalmente errate, seppur l’agito appaia del tutto frutto di una scelta ben ponderata. Negli anni ’70 due studiosi, Daniel Kahneman ( psicologo israeliano, premio Nobel per l’economia) Amos Tversky analizzarono la capacità umana di assumere decisioni pur senza avere una completa visione dell’argomento frutto della loro scelta. Nelle loro sperimentazioni hanno potuto appurare come una scelta venga effettuata prima inconsciamente e poi razionalizzata. Il classico esempio “caso di scuola” è quello in cui, trovandoci dinanzi ad una scelta come può essere banalmente l’acquisto di un prodotto sullo scaffale di un supermercato, il primo sistema ad attivarsi nella scelta attiene al pensiero intuitivo. Basandosi essenzialmente sui pochi  elementi che si hanno a disposizione e che afferiscono essenzialmente ad un mero gradimento, il pensiero sarà  reattivo e veloce. Il secondo sistema ad attivarsi è invece quello del  pensiero razionale che,dopo aver ricevuto il gradimento dal primo sistema, valuta e analizza la scelta e se ritiene che sia corretta la supporta, in caso contrario passerà avanti. Fin qui sembrerebbe tutto assolutamente logico e lineare: si sceglie in base all’istinto ma se poi a conti fatti, la scelta non sembra allinearsi a ciò che razionalmente è in sintonia con le nostre esigenza, si sceglie di non dare spazio a quella considerazione.

In realtà e a ben vedere, il nostro sistema perfettamente tarato ed apparentemente infallibile sembrerebbe invece sbagliare molte volte, non sempre infatti la scelta ponderata e razionale prevale sull’istinto ( pensiamo ad esempio alle relazioni amorose, quanto pensiero intuitivo e quanto poco pensiero razionale) e pertanto, in situazioni di incertezza, avviene una vera e propria distorsione del giudizio : il Bias Cognitivo.

La nostra decisione sarà il frutto non di una scelta consapevole ed accurata, razionale ed oggettiva, ma la “cantonata” verrà presa poiché il nostro pensiero sarà “raggirato” dal pregiudizio e dalle alterate informazioni di cui siamo in possesso nel momento della scelta. Questo concetto, può confondersi facilmente con un’altra nozione cara alla psicologia: l’Euristica, ovverossia la scorciatoia mentale, procedimenti sbrigativi, del riconoscimento di un qualcosa ad esempio, in base all’esperienza passata; il Bias Cognitivo non risponde alle regole dell’esperienza ma bensì a pregiudizi e preconcetti. Il termine Bias, coniato circa nel 1500 per indicare qualcosa di inclinato, obliquo, indica quindi un processo del pensiero fondato su pregiudizi e percezioni non “agganciate” alla realtà; mentre l’euristica consente di estrapolare dalla memoria un’idea o una veloce conclusione, i bias cognitivi sono pregiudizi, veri e propri errori di ragionamento. Un bias cognitivo molto  comune e più o meno a tutti noto è la cosiddetta “Fallacia del Gambler”, ciòè la tendenza a dare importanza al passato, cioè quello che in ambito studentesco è maggiormente noto con il detto ” campare di rendita”. Se ho ricevuto un giudizio positivo nel passato, il giudicante sarà maggiormente propenso a valutarmi attraverso un naturale favor nonostante io non sia magari stato realmente all’altezza della situazione.

Secondo Nassim Nicholas Taleb, saggista libanese ( 1960 -?) agli esseri umani in generale piacciono le storie, ma piace anche semplificare…”la fallacia narrativa è associata alla nostra vulnerabilità, all’eccesso di interpretazione e alla nostra predilezione per le storie coerenti rispetto alle verità grezze…la fallacia narrativa sottolinea la nostra limitata capacità di osservare sequenze di fatti senza aggiungervi una spiegazione…”

Non possono essere evitati questi “errori del ragionamento” tutt’al più si può, per quanto possibile, imparare a riconoscerli, inoltre nessuno ne è veramente immune, essi si attiveranno tutte le volte in cui si deve esprimere un giudizio o si deve interpretare qualcosa.

Gli studi di  Kahneman e Tversky e dei“Bug mentali” hanno interessato moltissimo gli esperti di marketing e di comunicazione. Gli effetti di questi errori possono essere utilizzati per modificare le scelte dei consumatori ad esempio.

Gli effetti prodotti che tendenzialmente si vogliono ottenere possono essere di vari tipi, addirittura pare che siano stati individuati almeno duecento bias diversi, ma per ragioni di sintesi ne elencheremo solo alcuni : effetto esca; effetto ancora; effetto di mera esposizione; avversione alla perdita; effetto inquadramento; effetto carrozzone; effetto Ikea; salienza.

Bias cognitivi e Covid 19

Ci si è chiesti se in un clima di totale incertezza e di pochissima conoscenza dell’argomento anche nei più esperti, potesse svilupparsi il fenomeno dei bias cognitivi, l’errore basato sul pregiudizio tecnicamente dovrebbe essere stato superato dalla assoluta ignoranza della materia ad opera della maggior parte della popolazione mondiale. Così come l’effetto sorpresa ( nessuno di noi si sarebbe mai potuto immaginare di vivere una situazione simile); in realtà l’essere umano, così come le altre specie viventi, è dotato di un grande spirito di adattamento che si evolve rapidamente per la sopravvivenza della specie, come direbbe l’antropologo e biologo Charles Darwin  (1809-1882). Per cui, anche una inaspettata ed incompresa pandemia, come quella attuale, ha generato nella razza umana, una certa adattabilità.

Si sono quindi verificate tre tipi di reazioni differenti rispetto al virus:
quella di coloro che si sono allineati completamente a quanto affermato via via dalle autorità anche se non ritenute potenzialmente in sintonia con i propri ordinari pensieri (mutamento della leadership in caso di crisi);
  • i negazionisti e i complottisti nei quali prevale l’euristica della disponibilità[1];
  • i resilienti

Nel primo caso, il leader del momento, sebbene possa non corrispondere al soggetto ideale che sceglieremmo in un momento ordinario, diviene colui che seguiamo anche in caso di scarso gradimento. Scatta un meccanismo singolare per cui, si riconosce nell’individuo che si erge a leader, una lucida capacità  di prendere decisioni ed assumersi responsabilità;  guidare se stesso e gli altri verso la soluzione del problema. Prendendo spunto dall’etologia, avviene ciò che nel regno animale osserviamo comunemente nei mammiferi che si muovono in  branco. Gustav Le Bon, antropologo e psicologo francese (1841-1931)  asseriva: “ la folla è un gregge impossibilitato a fare a meno di una guida….la folla ascolta sempre l’uomo spinto da una volontà irriducibile, perché gli uomini, confluiti in una moltitudine, persa la propria via si volgono istintivamente a chi mostra di possederne una”

Nel secondo caso c’è chi invece nega totalmente l’esistenza del virus e chi invece appoggia le ipotesi complottiste. Si colgono cioè elementi notori, li si addizionano alla logica e si traggono le ovvie deduzioni. Il movente è afferente all’acquisizione di un maggiore potere, di danaro oltremisura, dell’assoggettamento totale dell’umanità.

Il terzo caso è quello dei resilienti, ovverossia persone che pur osservando la realtà, pur aderendo alle ipotesi di un virus “sfuggito” dalle mani di chi in laboratorio ci stava lavorando, tutto sommato accetta con spirito fiducioso ciò che sarà il futuro. La resilienza è in psicologia quella capacità di far fronte alle avversità attraverso la riscoperta di quelle risorse intere, che non avremmo magari nemmeno immaginato di possedere. Facendo buon governo delle stesse si cerca di ripristinare il proprio equilibrio.

Gli effetti delle distorsioni cognitive sono davvero incredibili nella vita quotidiana. Kahneman evidenzia come molto spesso si arrivi a conclusioni errate sulla scorta esclusiva del  mero indizio. Molto più spesso di quello che si possa immaginare, ciascuno di noi ha sperimentato nella propria vita uno dei più temibili dei sette vizi capitali[2]: la superbia o sicumera “ l’overconfidence “ ovverosia  avere la convinzione di sapere perfettamente come stanno le cose.

La superbia il peggiore dei vizi, “..è l’inizio di tutti i peccati..” (Vulgata, Bibbia in Latino, edizione per il popolo)Secondo Tommaso d’Aquino, filosofo, religioso (1225-1274) la superbia  è il peccato di Adamo (Non morirete affatto! Anzi, diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male”, Genesi 3,4,5 ) e di Lucifero, l’angelo più potente delle schiere angeliche, che nel volere l’uguaglianza con Dio  a seguito di quell’atto di superbia, precipitò dal cielo  con un tale impeto che con il suo schianto a terra  aprì una enorme voragine. Alla superbia fu unificata la vanagloria, inizialmente anche essa vizio. Essere convinti fermamente di un qualcosa sulla scorta di elementi sommari può complicare certamente la propria percezione del reale.

Secondo il celebre premio Nobel, applicheremmo soventemente il meccanismo di riconoscere come vero solo ciò che vediamo, ( what you see is all there is, quello che si vede è l’unica cosa che c’è); questo processo rende la realtà meno autentica poiché mancano informazioni e dati che potrebbero offrire una spiegazione nettamente diversa rispetto a ciò che invece costituirà la nostra falsa credenza. Immaginiamo quanto questi Bias possano essere deleteri in ambito processuale. Un teste che giunge ad una conclusione solo poiché ciò che ha visto è l’unica cosa che c’è ! Alla luce di quanto appena asserito quindi anche nel caso “Covid 19” potenzialmente può essere accaduto quanto espresso da Kahneman con l’acronimo  WYSIATI,  il Covid non possiamo percepirlo attraverso la vista, ma possiamo sperimentarne gli effetti. Si apre quindi un nuovo e grande problema legato  all’essere umano, quello della secolare diatriba tra fede e scienza, tra ciò che sentiamo possa essere  vero e quello a cui crediamo fermamente solo poiché lo tocchiamo con mano. Ciò che è successo probabilmente con la diffusasi pandemia è proprio la riproposizione di questo eterno conflitto tra il credere e lo sperimentare, un conflitto che però probabilmente e data la secolarizzazione del problema mai potrà essere superato.

Il Covid 19 e la percezione della sua pericolosità

Che la percezione della pericolosità di tale virus sia diversamente sentita è una questione afferente la percezione dell’emozione paura. E’ una delle sei emozioni principali (oggi 21 secondo alcuni studi americani) osservata sotto vari profili  da numerosi studiosi della mente umana, dai comportamentisti  ma anche da letterati, filosofi, artisti. Ciò che probabilmente affascina di questa emozione è la assoluta differenza all’approccio con l’evento esterno ritenuto dannoso. Secondo W. B. Cannon, fisiologo americano (1871-1945) possono sussistere due tipici comportamenti nella paura: la reazione di attacco o la fuga, “Fight o Flight”, possiamo cioè andare verso il problema proponendoci in modo impetuoso o fuggire da esso. Ma la paura non sempre sembrerebbe essere proporzionata al potenziale evento lesivo. Che ci sia una certa proporzionalità di intensità tra due eventi  notoriamente pericolosi è cosa nota, tutti sono consapevoli dei pericoli rappresentati da un forte terremoto o da una guerra, ma certamente  è meno evidente la differenza tra il realmente  percepito in quanto tale e il soggettivamente percepito. Non tutti hanno infatti la medesima soglia di comprensione del pericolo che è influenzata dalla propria esperienza di vita, da cioè dati puramente soggettivi che parametrano in modo totalmente differente la percezione del rischio. Ciò che è avvenuto con il Covid 19 è senz’altro una diversa percezione delle realtà, che ha subito inevitabilmente la confluenza di più fattori. Come anticipato, si sono create “fazioni diverse” più o meno moderate e nel collocamento di ciascuno di noi in ognuna di esse, hanno contribuito sensibilmente i media. La nostra capacità di percezione del rischio è stata altamente influenzata dai mezzi di comunicazione di massa ma anche dalla modalità comunicativa realizzata. Accendere la TV ed ascoltare un telegiornale è un conto, ma assistere alle comunicazioni ufficiali del Presidente del Consiglio, assistere ad una totale sospensione delle trasmissioni di tipo sportivo o di intrattenimento e soprattutto vedere come le uniche notizie veicolate dalle testate giornalistiche riguardassero solo il coronavirus, certamente ha influenzato la nostra percezione del rischio. Le comunicazioni così predisposte tendono a scatenare l’emozione paura che attinge, per dare spazio ai meccanismi del  “Fight o Flight”, alla memoria di ciascuno di noi ed alle informazioni sommarie possedute che poi saranno elaborate facendoci assumere decisioni sbagliate. Fra i pregiudizi cognitivi che influenzano la nostra quotidianità, Kahneman e Tversky hanno individuato anche un altro fenomeno chiamato effetto Framing (da Frame, cornice) ovverossia il modo in cui ci viene presentato ciò che poi influenzerà la nostra decisione. Realizzarono a dimostrazione di ciò un noto esperimento “ il problema della malattia asiatica” nel 1981; tale reattivo fu somministrato a due gruppi di individui, lo stesso dilemma fu proposto però attraverso modalità differenti di comunicazione. Entrambi i test si soffermavano sulla percentuale di vite umane che tendenzialmente si sarebbero potute salvare attraverso l’applicazione di un dato progetto, ma tendenzialmente ciò che variava era la modalità comunicativa utilizzata nella proposizione del problema. Alla fine della somministrazione del reattivo l’effetto ottenuto è stato sorprendente.

Al primo gruppo in buona  sostanza vennero evidenziate modalità diverse per fronteggiare la malattia: in uno vi era la certezza di salvare un numero molto inferiore  di persone ( 200 in luogo di 600), nel secondo, qualora si fossero adottate diverse strategie, vi sarebbe stata una più blanda certezza rispetto al precedente metodo, ma in caso di successo le vite umane salvate sarebbero state molte molte di più. ( 600). La risposta fornita dai soggetti analizzati fu quella di   applicare  un metodo risolutivo per salvare un numero certo di vite umane, sebbene di gran lunga inferiore! I gruppi hanno preferito quindi scegliere di non rischiare! Ciò che è stato chiesto è :  “Se viene adottato il Programma A, verranno salvate 200 persone. Se viene adottato il Programma B, vi sarebbe 1/3 di probabilità che 600 persone vengano salvate, e 2/3 di probabilità che nessuna persona venga salvata”. In tal caso i partecipanti hanno preferito evitare il rischio di far perire tutti (72%); meglio 200 sicuri che 600 incerti!  Nel secondo quesito la problematica viene espressa in modo differente  “Se il Programma C viene adottato, moriranno 400 persone. Se il Programma D viene attuato, vi sarà 1/3 di probabilità che nessuno muoia, e 2/3 di possibilità che 600 persone muoiano”. In questo caso, dove si è prospettata la certezza della morte di molti individui, la propensione al rischio è calata (78%). Nel secondo gruppo, pur rappresentando il medesimo problema e le medesime soluzioni Kahneman e Tversky hanno semplicemente variato la modalità comunicativa: nel secondo caso si è affrontato il problema dando per scontata una certezza, la morte di alcuni individui in luogo alla possibilità di salvarli, nel primo invece è stato rappresentato un evento in una chiave di lettura maggiormente positiva.

Ciò evidenzia come le circostanze prospettate non siano realmente valutate in maniera oggettiva, ma vi possa essere in qualche modo un’influenza indotta da una comunicazione strutturata in un determinato modo. Generare emozioni produce una inevitabile risposta nell’individuo e non sempre la valutazione rispetto ad una data informazione sarà rigorosamente oggettiva. Gustav Le Bon, sosteneva :” gli oratori che sanno impressionare, non fanno mai appello alla ragione, ma ai loro sentimenti.”

I neuroni specchio

Negli anni ‘90 sono stati studiati da un gruppo di ricercatori dell’università di Parma i neuroni  specchio, ovverossia quei  neuroni che permettono di comprendere come fisiologicamente si attivi la nostra capacità di entrare in empatia con altri soggetti.

Le attività del mentale possono essere descritte a partire da un fatto sperimentale: esiste tra noi e gli altri una dimensione di empatia che è fondante rispetto all’apprendimento dei comportamenti, determinante nella genesi del linguaggio ed è predeterminante nei meccanismi generativi nella coscienza che non può che essere letta in un contesto in cui il fenomeno va creandosi dalla relazione madre-bambino, in cui il bambino impara i gesti della madre perché sono in lui evocati. Quando vediamo qualcuno triste o felice, secondo i ricercatori si attiverebbe un sistema fisiologico che in qualche modo sollecita anche le nostre emozioni, noi proviamo quello che pensiamo l’altro stia provando! La mente umana funziona attraverso questo meccanismo di “mirroring” e certamente, anche nel caso del Covid 19,  l’effetto di rispecchiamento ha sicuramente giocato un grande ruolo.

I bias cognitivi il marketing e della comunicazione di massa

Chi è maggiormente consapevole del meccanismo che scatta nella mente umana, può utilizzare anche a proprio vantaggio i bias mentali? E’ possibile che la consapevolezza che sia quasi impossibile sfuggire a questi bug mentali possa  divenire una risorsa utilizzata da pochi? Orbene, abbiamo certamente compreso come gli individui vivano, attraverso i neuroni specchio, emozioni similari a chi ad esempio stanno osservando in un dato momento storico; abbiamo inteso che l’emozione paura è altamente strutturata nell’essere umano, se non altro perché è un meccanismo innato di protezione dell’individuo e che, più in generale, tutte le emozioni posso influenzare le nostre scelte; abbiamo inteso come talvolta gli individui siano maggiormente propensi ad evitare una perdita piuttosto che ottenere un guadagno; abbiamo certamente capito come la maggior parte delle volte gli individui incorrano in inevitabili errori dovuti al pregiudizio cognitivo. Dunque, asserito ciò,  è possibile utilizzare a proprio favore tutti questi elementi?

Nel mondo del marketing certe tecniche sono utilizzate al fine di ampliare le vendite, armonizzare i propri spot o slogan aziendali per “sintonizzarsi” maggiormente sulle esigenze del consumatore. Ma anche la comunicazione di massa segue degli schemi ben precisi per arrivare in modo veloce e far si che il messaggio rimanga  maggiormente impresso nel maggior numero di persone. La domanda però è un’altra, è possibile ipotizzare  che il bombardamento mediatico su vasta scala  possa aver generato “l’errore mentale” in tutti coloro che, pur non avendo alcuna conoscenza scientifica sull’argomento, né dati statistici concreti, né alcun tipo di conoscenza tecnica in materia,  hanno iniziato ad ipotizzare, trarre conclusioni, consigliare ad altri e schierarsi contro o pro certi argomenti? Ovviamente questa è solo una ipotesi, ma certamente la continua e costante diffusione mediatica dell’argomento coronavirus ha ampliato la percezione del rischio nella maggior parte degli individui e come detto, il risk perception  non è basato su dati oggettivi, ma bensì è caratterizzato da una mutevole serie di variabili tipicamente soggettive. Gli individui, in base ai nuovi traguardi raggiunti dalle neuroscienze, sono meno toccati a livello emotivo da situazioni di pericolo che conoscono ed in quanto tali in qualche modo possono “gestire”, piuttosto da quelle completamente nuove sebbene le stesse siano potenzialmente più gestibili. La continua diffusione di tali informazioni, potrebbe aver stimolato negli individui un vero e proprio panico, vero è che secondo quanto riportato dalla cronaca, per quanto allo stato non ci sia un vero e proprio dato statistico, pare sia aumentato anche  il numero di suicidi legato al terrore della malattia, dell’isolamento sociale  ed alla relativa perdita di sicurezza economica. Ma ovviamente, anche tali ragionamenti, potrebbero essere il frutto di bias cognitivi!  
Biblografia
  • Pensieri Lenti e Veloci di Daniel Kahneman
  • Come Mentire con le Statistiche di Huff Darrel
  • Antifragile di Nassim Nicholas Taleb
  • Il Cigno Nero di Nassim Nicholas Taleb
  • Psicologia delle folle Gustav Le Bon
  • Comunicare meglio per avere relazioni migliori di Xavier Guix
  • Pragmatica della comunicazione umana di Paul Watzlawick
  • L’origine della specie di Charles Darwin
  • Biases di Mario Salomi
  • Trappole Mentali di Matteo Motterlini
  • Parole per vendere di Paolo Borzacchiello

[1] Le euristiche sono le decisioni assunte sulla scorta delle credenze che si hanno in merito ad un dato fatto. Possono essere di varia natura. Eurustica  di rappresentatività; di accessibilità; della disponibilità (nome caro alla psicologia cognitiva e comportamentalista) questa ultima,  come per le altre euristiche può essere ingannevole e fuorviare le decisioni finali. La disponibilità dell’informazione presente nella nostra memoria, cioè quello che rimane maggiormente impresso, può essere fortemente fuorviante per la considerazione finale. Caso di scuola tipico è un disastro aereo, che rimane fortemente impresso nella nostra memoria e in maniera certamente più intensa rispetto agli incidenti d’auto, molto più frequenti.
[2] I vizi capitali, secondo la tradizione cristiana, sono quelle tendenze umane, quelle abitudini dannose, che fanno si che generino i veri e propri peccati; capitali, capitalis, capo, perché appunto, simbolicamente parlando, sono messi a capo di molti peccati. Immanuel Kant,(1724-1804)  filosofo tedesco,  nella sua “Antropologia pragmatica” vede nel vizio, una espressione dell’uomo.

Articolo a cura di Avv. Tiziana Barrella
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